28.9.16

COME AGGIUSTARE UN PORTATILE CON LA SCHERMATA NERA

SE SIETE ARRIVATI QUI CERCANDO SOLUZIONI AL PROBLEMA DELLA SCHERMATA NERA, LE TROVATE IN FONDO A QUESTO POST IN ROSSO. 

Oggi esulo dai miei soliti post di viaggi e lezioni, per condividere con voi un piccolo passo nella mia quotidiana battaglia contro il consumismo.

Il portatile HP da cui vi scrivo è vecchioooooo, ricevuto mi pare a gennaio 2008 o giù di lì. 
Mi ha dato dei problemi all'inizio perché non si connetteva a internet ed è improvvisamente morto, facendomi perdere un bel po' di cose (da lì in poi ho imparato a fare duplice copia di tutte le foto e materiali di lezione e a tenerle in due dischi rigidi esterni, lasciando il computer praticamente vuoto). In quel caso l'ho affidato a un amico di un amico che per non mi ricordo quanti euro me l'ha aggiustato.
Poi aveva smesso di funzionare l'audio. A quel punto ho deciso che volevo provarci io a risolvere il problema e con l'aiuto di alcuni video di youtube di un simpatico ecuadoriano in un'oretta funzionava di nuovo. 

Questa volta la cosa sembrava più grave, l'ho acceso di mattina e lo schermo era completamente nero. Le lucine varie lampeggiavano, ma la strategia accendi e spegni che tutti usiamo non aveva avuto nessun effetto. L'assistenza tecnica HP consigliava di attaccarlo a un altro schermo per vedere se il problema era il portatile in generale o proprio lo schermo e basta.

I più (amici interpellati su facebook) mi consigliavano la rottamazione.
Ho reso noto che io questo portatile non lo porto da nessuna parte. È il computer che uso da casa perché al lavoro uso quello che ho in classe e quando sono in viaggio ho l'ipad o il telefonino. Ho anche un altro portatile più piccolino, della fase viaggi pre-ipad. Quindi potrei benissimo sopravvivere anche senza questo rudere. Mi serve fondamentalmente solo perché ha lo schermo grande e io sono ciecata.
È comodo per preparare le programmazioni di classe e scrivere il blog, pubblicare foto su facebook, robetta. Prima ci vedevo anche serie televisive, ma ora le vedo dall'ipad.

Però mi scocciava darmi per vinta senza neppure provare a aggiustarlo (che il mio secondo cognome è McGyver, belli miei).  Così mi sono data una giornata di riflessione e di prove. 

Perché ormai siamo abituatissimi ad aggiornare i nostri dispositivi elettronici continuamente. 
Io ho appena comprato un nuovo cellulare, perché quello vecchio era lentissimo e perché anche la mia normale macchina fotografica stava perdendo colpi ormai. Lo uso tanto, era dunque necessario. Non avrei potuto aggiustare i due aggeggi vecchi per farli andare più veloci o migliorare le loro prestazioni.

Ma questo portatile no, è una comodità, non una necessità. 
E sarebbe stato un ulteriore materiale di scarto tecnologico superinquinante.

Verso sera, quando ci eravamo resi conto che non saremmo riusciti a svitare una delle viti perché era spanata e quindi non avremmo potuto vedere se il problema era colpa del ventilatore (che a volte sembra un elicottero), ecco il video illuminazione - è in spagnolo, ma in fondo a questo post vi ho scritto in italiano passo passo cosa dovete fare. Per aggiustare il portatile basta avere un ... PHON!!!



(Gracias, gracias, gracias autor del video! <3)

Dunque il mio consiglio spassionato è questo:
se vi si rompe qualcosa, prima di farvi prendere dall'ansia del buttare, comprare, sostituire, fatevi un giro su youtube. Pensate a come usate l'oggetto in questione. È davvero necessario? Potete farne a meno? Avete proprio bisogno di un oggetto nuovissimo, dell'ultimissimo modello? 
Io non mi vergogno affatto di avere un portatile che ha 8 anni e di averlo aggiustato. Ne sono anzi orgogliosa. Sono soldi e risorse risparmiate. 
Perché ogni oggetto è frutto del lavoro di qualcuno e dello sfruttamento di risorse della terra. Che è una sola!
Pensateci la prossima volta che vi si scassa qualcosa, o chiamate me!
Sfodererò il mio phon, et voilà, tutto risolto!

COME AGGIUSTARE UN PORTATILE CON LA SCHERMATA NERA
Questo magico rimedio funziona solo se la schermata è nera, ma sentite comunque rumore di ventilatore e si accendono le lucine che stanno accanto/intorno alla tastiera.

1) Togliete la batteria
2) Attaccate il portatile alla corrente
3) Accendetelo -> lo schermo sarà nero.
4) Prendete un asciugacapelli e dirigete il getto di aria calda sull'ENTRATA VIDEO (non dvd).
5) Continuate per circa un minuto, fino a che non è bello caldo, muovendo su e giù l'asciugacapelli.
6) Spegnete il portatile.
7) Staccatelo dalla corrente.
8) Premete per circa 1 minuto il pulsante di accensione.
9) Riattaccatelo alla corrente.
10) Accendetelo.

Dopo 20-30 secondi dovrebbe funzionare.
Probabilmente dovrete ripetere l'operazione ogni volta che volete usare il computer. 
Se dopo la phonata non si accende, coprite la tastiera con una maglietta o asciugamano (senza staccarlo dalla corrente), si riscalderà e si accenderà.
Oggi il mio si è acceso direttamente mentre lo stavo phonando, quindi al punto 5 ho smesso.
Non molto pratico per portatili realmente portatili, ma se come me lo usate come computer fisso ottimo.


24.9.16

Dove vanno a morire i cavalli ...

Non me lo ricordo come l'ho scoperto, questo Gulp, Glob, come si chiama Marghe? Si chiama Gloup.
Che poi Gloup significa voragine in norvegese antico, e quel gloup che ho visto io su chissà quale volantino è su un'altra isola, ma guarda un po', ce n'è uno anche a Deerness (questo), raggiungibile in autobus.

È sulla costa, c'è indicato un sentiero e passeggiate di diversi gradi di difficoltà e tempo, abbiamo 3-4 ore, e se ci becca la pioggia forte dove ci ripareremo? La ragazza dell'ufficio informazioni alla stazione di Kirkwall ci dice che lei c'è stata, tanti anni fa, ci dovrebbe essere un riparo e dei bagni. Il tempo promette sgrullone, ma noi Braveheart ci andiamo lo stesso.

Alla stazione ci sente parlare in italiano una signora, anche lei è in giro e guarda caso va più o meno dove andiamo noi. Chiacchierando scopriamo di avere una conoscenza in comune e mi sento come i viaggiatori di 100 anni fa, che avevano sempre un cugino d'America che conosceva il cugino di un altro che conosceva il panettiere che conosceva il maestro che conosceva ...

Prendiamo insieme l'autobus e neppure l'autista sa dov'è il Gloup, ci molla in cima a una collinetta, dove c'è una sola casa e una cassetta delle lettere.














Siamo noi 3 e altri 3 esploratori, li riconosciamo perché sono ospiti del nostro ostello.
Noi però, grazie alla signora incontrata, sappiamo che ci sarà pure una spiaggetta e, se siamo fortunate, delle belle fochine.



I vitelli ci guardano incuriositi. Sono come adolescenti, si muovono tutti in gruppo correndo maldrestri dietro al capobanda. Ci chiedeno con gli occhi chi siete? che volete? e io rispondo mentalmente sono vegana, non finirete mai nel mio piatto. Sembrano tranquillizarsi.

Giriamo l'angolo ed ecco che penso che qua ci devono vivere dei parenti miei McGyver, soluzioni pratiche ad esigenze quotidiane. Che ci fai se ti avanza un pulmino scassato? Beh, lo usi per stenderci i panni, no?


Arriviamo infine al mare ed è abbastanza in tempesta, c'è un sacco di vento. Sul molo temo per la nostra incolumità, ci manca solo che finiamo nell'acqua gelata, preferisco di gran lunga un bell'acquazzone. Però la spiaggia è così silenziosa ed incontaminata che mi viene in mente Oceano Mare, una vita fa era il mio libro preferito.

Sabbia a perdita d'occhio, tra le ultime colline e il mare - il mare - nell'aria fredda di un pomeriggio quasi passato, e benedetto dal vento che sempre soffia da nord.
La spiaggia. E il mare.
Potrebbe essere la perfezione immagine per occhi divini mondo che accade e basta, il muto esistere di acqua e terra, opera finita ed esatta, verità - verità - ma ancora una volta è il salvifico granello dell'uomo che inceppa il meccanismo di quel paradiso, un'inezia che basta da sola a sospendere tutto il grande apparato di inesorabile verità, una cosa da nulla, ma piantata nella sabbia, impercettibile strappo nella superficie di quella santa icona, minuscola eccezione posatasi sulla perfezione della spiaggia sterminata. A vederlo da lontano non sarebbe che un punto nero: nel nulla, il niente di un uomo e di un cavalletto da pittore. 


Scruto l'orizzonte, ecco le foche, la signora le conosce già, ha imparato una sorta di richiamo e gli ha portato la merenda. Sono come cani d'acqua, scodinzolano e si nascondono. Sono 6-7 e una deve essere la mamma. Se una delle piccole si avvicina troppo ecco che parte un verso impercettibile e le fochine spariscono sottacqua.



Sono come sirene, ci incantano con le loro piroette.
Stiamo lì a giocare a trova la foca per un sacco di tempo, e poi dobbiamo correre su per la collina, alla ricerca del Gloup. Che altro non è che una caverna crollata, una sorta di ferita della terra dove anticamente venivano mandati a morire i cavalli non più utili per il lavoro nei campi.
Non è facile fare foto che rendano l'effetto vertigini da precipizio, c'è una recinzione che non bisognerebbe superare e qualcuno ci ha fatto un buco, passiamo ed siamo sulle scogliere.

Se il vento si portasse via una di noi, sarebbe come tanti secoli fa, se succedeva una tragedia toccava correre a piedi a chiedere aiuto, cammino con il baricentro basso e spero di non finire nella voragine come un cavallo anziano.





Vertigini a parte se amate i posti senza folle di turisti questo è il luogo perfetto.
E anche se cercate marito ottantenne. Sulla strada del ritorno due anzianotti ammiccanti si fermano, fanno conversazione con quel loro accento cantilenante delle Orcadi e ci offrono un passaggio. Hanno il cofano pieno di rotoli di fil di ferro e io immagino già il copione di un film dell'orrore tipo Saw.


Consigli di viaggio

L'ideale sarebbe disporre di una macchina, in modo da non dipendere dagli orari degli autobus Stagecoach, che anche in estate sono limitati.
Qui altre info sul tipo di sentiero. Il Gloup si trova nella Mull Head Nature Reserve, di cui noi abbiamo visto solo una piccolissima parte, non essendoci organizzate bene coi tempi e non sapendo cosa aspettarci.
Potete vedere foto dell'intero percorso (9km) nel resoconto di quest'altra viaggiatrice qui, che mette in guardia sulla massiccia presenza di midges, i pappataci scozzesi.

Merita secondo me un'escursione/passeggiata lunga se non piove, scorci mozzafiato, praticamente zero turisti, natura incontaminata.
Fornirsi di scarponi o scarpe impermeabili, le scogliere sono ricoperte di erba bagnata e pozzanghere e fango.

Per vedere le foche bisogna superare Skaill, passare accanto al un piccolo cimitero che è dietro le prime case che si vedono scendendo, prima di girare a sinistra e prendere la stradina per il Gloup.

18.9.16

The Italian Chapel

Credo che la Italian Chapel meriti un post a parte.
Che se fosse stata chessò, French Chapel o Russian Chapel magari non avrebbe avuto lo stesso significato o impatto su di me, ma è italiana ed è scozzese e allora devo andarci.

Come al solito tocca incastrare gli autobus per arrivarci e, non sapendo cosa aspettarci, non sappiamo neppure quanto tempo ci passeremo.

L'Italian chapel è ciò che dice il nome, una cappella. Su un'isoletta. Non una cattedrale, non una chiesa, ma una cappellina nel mezzo dei campi verdi dove brucano le mucche e vicino al mare.

E che ci fa una cappella italiana nel mezzo del niente?
Incredibilmente alcuni prigionieri italiani, catturati in Africa durante la II guerra mondiale, furono spediti all'inverno delle Orcadi a una sorta di campo di lavoro.
Con gli stessi materiali usati per la costruzione delle Churchill Barriers antisottomarini tedeschi, usando due hangar metallici di scarto, legno recuperato da una nave naufragata e autofinanziandosi, questo gruppo di 550 uomini con tanta nostalgia di casa, decise di costruire questo luogo di raccoglimento spirituale e sociale.

Grazie alle abilità artistiche di Domenico Chiocchetti e al lavoro di tanti altri prigionieri, eccola che ci aspetta, questa piccola gemma.

Da lontano ti accoglie la bandiera italiana e una statua di San Giorgio e il Drago, che emoziona un po'.














Cartelli appannati di pioggia raccontano la storia dei prigionieri


















It was the wish to show to oneself first, and to the world then, that in spite of being trapped in a barbed wire camp, down in spirit, physically and morally deprived of many things, one could still find something inside that could be set free.

Era il desiderio di dimostrare a se stessi in primo luogo, e poi al mondo che, nonostante la prigionia in in campo circondato da filo spinato, nel profondo dello spirito, seppure fisicamente e moralmente privati di molte cose, si poteva ancora trovare qualcosa nel profondo che rendesse liberi.

















Un inno alla libertà e alla speranza, un modo per andare avanti e non dimenticare, per essere comunità ed fratelli nonostante il freddo, la prigionia, le ristrettezze, la mancanza di luce in inverno, la pioggia battente, il mare in tempesta.

Il tutto al di là della religione, perché nonostante i simboli siano quelli cattolici, la madre e il bimbo sono valori umani, di famiglia (che manca ed è lontana) e i santi sono ciò di buono che potrebbe e dovrebbe esserci negli uomini al di là delle guerre.  Un messaggio di pace.


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Consigli di viaggio:

Controllate sempre gli orari di apertura sul sito qui, entrata 3 pound nel 2016.

Occhio ad aspettare l'autobus fuori, guardate bene l'orario, noi avevamo fatto male i calcoli e siamo rimaste 15 minuti a fare penitenza sotto la pioggia.

C'è un negozietto-baretto prima di arrivarci e tenetelo presente se venite investiti da un uragano di pioggia e mare come è successo a noi. Che stoiche abbiamo deciso di aspettare comunque l'autobus fuori, in mezzo alla strada. Non c'è una fermata/pensilina e ovviamente c'eravamo solo noi e l'acqua che ci flagellava da tutte le parti.

Pare che ci faranno anche un film basato sulla storia d'amore fra un prigioniero e una donna delle Orcadi.

15.9.16

Viaggiatori vecchi maniera

A Kirkwall siamo state in questo ostello qui, una grossa struttura bianca per viaggiatori vecchio stile.

Fa parte della catena di ostelli SYHA, un'associazione non-profit nata nel 1931 di cui si può diventare membri (se non lo si è si paga un extra ogni notte) e che, almeno per quanto riguarda l'ostello di Kirkwall, si differenzia parecchio dall'idea di hostel che si è diffusa ultimamente.

A me piace il senso comunità degli ostelli, ma non gli annessi e connessi di alcolizzarsi insieme o di promiscuità. Sarà pure che ho una certa età. E sarà che a Kirkwall non ci arrivano molti festaioli alla ricerca di notti sex, drugs and rock & roll. Quindi l'ostello di Kirkwall mi è sembrato per viaggiatori vecchio stampo.

Gli ospiti sono per la maggior parte pensionati (soprattutto signore sole), amanti della natura, delle passeggiate, della tranquillità.
L'ostello, nonostante i labirinti di corridoi e stanze è silenziosissimo (eccetto gruppetto di spagnoli urlanti nottetempo) e soprattuto pulitissimo. Sembra una grande casa, con cucina enorme piena di pentole e pentoloni e sala da pranzo spartana, salone coi divani e con giochi da tavolo, libri da leggere (e scambiare), galline in giardino, tanta luce che entra dai grandi finestroni.

Un po' fuori dal centro (10 minuti a piedi), in una zona tranquillissima, è un altro posto che mi ha fatto venire voglia di rimanere a vivere alle Orkney.
Internet c'era solo nella piccola hall e per usarlo bisogna immettere codici che vengono continuamente cambiati e sono disponibili alla reception. Un po' uno svantaggio per chi vuole progettare le tappe del viaggio online, ma che ti spinge a ritornare alle vecchie mappe e volantini e a passare meno tempo in camera in solitario isolamento e più negli spazi comuni.

Così osservo coppiette di 60-70enni con le loro belle scarpe e bastoni da trekking,  famiglie coi bimbi piccoli che si divertono coi giochi della sala comune, un cieco con il suo cane, signore Fletcher che viaggiano sole e che fanno comunella con le altre signore. 
In cucina si prepara roba sana, niente buste di Mac Donald's e olezzi di fast food, c'è chi si fa una zuppa e chi mangia insalate, una signora guarda la nostra padella con le verdure saltate e dice it's lovely con un po' di invidia - ci siamo comprate l'olio d'oliva in bottiglietta piccola da portarci appresso - tanto che ci chiede la padella usata per 'ripassare' le sue di verdure. Of course, go ahead.


Ma soprattutto niente visi incollati agli schermi di smartphone, ipad e affini. Anche se i britannici (e molti altri stranieri) dovrebbero comunque avere connessione internet, si vedono proprio pochi telefonini in giro, non ne squilla nemmeno uno. Osservo una ragazza che scrive fitto fitto su un diario, gente che legge libri o giornali, vedo persone conoscersi e decidere di farsi una gitarella insieme. Il tutto però molto più lentamente e silenziosamente (anche perché la maggior parte degli ospiti girano scalzi!) che in ostelli più moderni.
          
Ne approfitto anche io e mi leggo The girl on the train, pescato a caso nella fornitissima libreria.


















(Sul tavolo un puzzle cominciato da qualcuno e continuato da qualcun altro ...)

Faccio questo paragone perché a Dundee siamo stati in un ostello bellissimo (di cui poi vi racconterò) e la sala comune traboccava di giovani backpacker silenziosi, tutti su facebook o whatsapp, disinteressati a tutto ciò che li circondava. Per me una terribile sensazione di vuoto fra la gente e di isolamento. Di mancanza di condivisione, come se (alcuni) i moderni viaggiatori fossero sempre con il cervello altrove.

A me piace pubblicare foto su facebook, che i miei amici e familiari seguano il mio itinerario e scoprano con me nuove parti del mondo. Però non condivido lo stare su internet appena si acchiappa una connessione wireless ed perdere così l'occasione di conoscere nuove persone, di scambiare due chiacchiere, di osservare con curiosità ciò che ci circonda qui ed ora.


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Info di viaggio

Unica pecca il check-in dalle 17 alle 22, prima l'ostello è proprio chiuso per pulizie (e per entrare serve un codice). Per noi non è stato un problema perché avevamo potuto lasciare le valigie a Stromness e credo che avvisando in anticipo si può comunque entrare e lasciare il bagaglio.  Il vantaggio è che l'ultimo giorno il nostro traghetto era a mezzanotte, abbiamo potuto lasciare le valigie tutto il giorno e di sera siamo rimaste nella sala comune a cenare e leggere fino a che non è arrivato il momento di partire.
C'erano cartelli che avvisavano che l'acqua delle docce ci mette un po' a riscaldarsi, ma a noi non è successo. 
È un ostello casa, quindi bisogna lavare e asciugare tutto ciò che si usa e riporlo, per mantenere l'ordine.
Alla reception molto simpatici e molto alla mano.

11.9.16

I cerchi di pietre di Stenness

Lo sapete già, sono superfan di Outlander, la storia di Claire che dal XX secolo viene catapultata indietro nel tempo, nella Scozia del 1700, all'epoca dei Giacobiti indipendentisti. Claire attraversa un magico cerchio di pietre e, fra una cosa e l'altra, si ritrova nelle braccia di un bell'esemplare di maschione scozzese, fatevi un'idea di ciò che parlo qua.

E cosa c'è vicino vicino a Stromness, grido da una stanza all'altra a Marghe, mentre organizzo il nostro viaggio prima di partire??? Sì, loro, delle Standing Stones, le Pietre Erette (che già il nome ...).

Si tratta delle Standing Stones of Stenness, cerchio di pietre in una zona piena di altri monumenti neolitici, fra cui il Ring of Brodgar, il Barnhouse Settlement, il Maeshove, il famosissimo Skara Brae e insomma tutte queste cose qui.

Tornando alle Standing Stones di Stenness, ci siamo arrivate il giorno più assolato del nostro viaggio. 
Mi immaginavo una folla tipo Stonehenge, invece c'era pochissima gente.
Ci arriva il pullman Stagecoach T11 (guardate qua) e ci ferma giusto 1 minuto per far fare foto. Noi ci siamo arrivate invece con un autobus normale (che parte sia da Kirkwall che da Stromness), si dice al conducente che si vuole scendere alle Stones e lì ti lascia.

Il gruppetto di turisti che c'era al nostro arrivo è andato via via scemando, il sole si è fatto più caldo, ed eccoci felici sul prato, davanti al magico cerchio di pietre ... a fare un picnic, stese sull'erba, in maniche corte e scalze. Vogliamo essere pronte e ristorate per fare un salto indietro nel tempo.

E ci proviamo.
Ci avviciniamo alle pietre.
Solo 4 ne rimangono delle 12 originarie.












 Risalgono almeno al 3000a.C.
Ascoltiamo il loro richiamo.

Pensiamo ai rituali che si saranno svolti in questo cerchio.
Un tempio della luna e del sole? 
Un luogo di raccolta per le feste del nuovo anno?

Let us imagine, then, families approaching Stenness at the appointed time of year, men, women and children, carrying bundles of bones collected together from the skeletons of disinterred corpses–skulls, mandibles, long bones–carrying also the skulls of totem animals, herding a beast that was one of several to be slaughtered for the feasting that would accompany the ceremonies.
(Immaginiamoci allora, famiglie che arrivavano a Stenness al tempo segnalato, uomini, donne e bambini, che portavano fasci di ossa raccolti dagli scheletri dei corpi disseppelliti - crani, madibole, ossa lunghe - e portavano anche i crani di animali totem e un animale che sarebbe stato uno dei tanti ad essere sacrificato per i banchetti che accompagnavano le cerimonie).

Attraverso infine la pietra spaccata.



















Ma niente da fare, non funziona.
Sono ancora qui, nel 2016.




















Niente Jamie per me.
A quanto pare nei libri di Outlander c'era una tipa che, avendo studiato le pietre, ammazzava il marito come sacrificio per fare il salto spazio-temporale.
Non avendo mariti da ammazzare non ci resta che passeggiare scalze e solitarie.

Finiamo per caso nel vicino villaggio neolitico Barnhouse Settlement  e qui siamo davvero solo noi e la storia dell'umanità.

























Camminiamo fra ciò che rimane di 15 case neolitiche, lo spazio per accendere il fuoco al centro, i letti costruiti accanto alle pareti. Come si viveva da queste parti centinaia di anni fa quando tutti imparavano a riconoscere le piante e gli animali che avevano intorno, a capire la natura e i suoi segni? Con il freddo e il vento? Percorrendo a piedi lunghe distanze sotto la pioggia battente? Eravamo forse più umani allora, dovendo contare gli uni sugli altri per sopravvivere?

Fra una meditazione e l'altra facciamo in tempo a fare un po' di acrobazie anche a vedere un vicino cimitero ed è già ora di acchiappare il bus di ritorno a Stromness per raccattare le valigie ed trasferirci a Kirkwall.





Consigli di viaggio

Fattibilissimo visitare nella stessa giornata a piedi tutti i posti indicati sulla mappa qui sopra partendo appunto da Stenness, occhio però che il sito archeologico di Ness of Brodgar è aperto solo per visite guidate in orari prestabiliti. Gli scavi sono ancora in corso.  E sulla mappa non è indicato il Ring of Brodgar, giusto un po' più a sinistra, l' altro spettacolare circolo di pietre, ancora più grande di Stenness.

Tutte queste cose in estate riuscirete a vederle anche se vi muovete in autobus (Stagecoach, se rimanete anche solo tre giorni vi conviene comunque fare il biglietto settimanale, per prendere tutti i bus che volete), ma organizzatevi bene, incastrate gli orari e gestite bene il tempo. Le partenze sono quasi tutte da Kirkwall, se alloggiate a Stromness contate lo spostamento extra.
Se siete alle Orcadi solo per 3-4 giorni, cercate di non farli coincidere con il fine settimana, perché ci sono meno autobus. Però se potete affittare una macchina sarà 100000 volte meglio, potrete vedere anche tante altre cose che noi non abbiamo potuto raggiungere. Non c'è praticamente traffico e si può parcheggiare facilmente.

5.9.16

Stromness, dove mi ritirerei a scrivere un libro ...

Quest'estate volevamo andare in Islanda, ma a causa mancanza di tempo per organizzare il viaggio, la Scozia è stata l'alternativa facile.
Però volevamo qualcosa di diverso dalle solite città grandi e dintorni e allora eccolo, il sogno di quasi 20 anni fa, le Orcadi.

Di tempo ce ne vorrebbe di più, sarà una toccata e fuga di 3 giorni.
Pensiamo prima alla brillante idea di affittare una macchina e dormirci dentro, poi ci rendiamo conto che in pochi giorni le distanze saranno anche fattibili in autobus e mi scordo però di prenotare l'alloggio. Me ne ricordo a luglio e ho la fortuna di trovare due stanzette singole a Stromness, al Brown's Hostel, che si prenota ancora per email e ci salva dal dover spendere 120 sterline per una notte nell'altro unico posto che trovo disponibile online. (Ma non disperate, ci sono tanti altri B&B, bisogna solo cercare)

Per arrivare ci sarebbe pure un pacchetto pullman diretto + traghetto da Inverness, ma io online non lo trovo allora e non lo ritrovo ora per consigliarvelo. Comunque separatamente Stagecoach + un traghetto della Northlink ci portano a destinazione, un sacco di ore fin lassù e la luce che ci accompagna fino a tarda sera.



Quella piccola protuberanza che vedete a destra della foto non è un faro, ma l'Old Man of Hoy, un faraglione alto 137 metri, nota meta per scalatori dal 1966. È su un'altra isola e se ne riparlerà la prossima volta.


Dal traghetto e seguendo il tutto sul google maps dell'ipad cerchiamo di individuare quale sarà la nostra casetta, si chiama Brown, sarà marrone? Dal porto sono giusto 2 minuti a piedi, con la valigia che continua a perdere una ruota e una sottile pioggerellina.

L'alloggio è davvero molto carino, minimalista ma accogliente, penso che potrei venirci a passare un mese intero o forse un anno, a scrivere un libro su marinai donne e guai, questa microcittadina (2000 abitanti) mi piace già.

E così nonostante la stanchezza da viaggio usciamo a conquistare le strade vuote delle città, approfittando della luce che fa ancora capolino fra le nuvole. Vediamo davvero pochissime persone, c'è un pub sotto l'ostello e ne escono 2-3 uomini che ci scrutano incuriositi, poi qualche persona con il cane e basta, Stromness è nostra.




Vado a letto con la voglia di svegliarmi presto presto prestissimo ed esplorare.
All'ufficio di arrivo dei traghetti ci sono tantissimi volantini, e anche la cameretta dell'ostello ne è piena ... quante cose da scoprire, penso già che mi toccherà tornarci.

Per la prima volta io e Marghe dormiamo in camerette separate e ho deciso che mentre lei dorme, io alle 6 mi sveglierò e uscirò a passeggiare. Ma alle 7, quando le mando un messaggio per avvertirla, sorpresona, è sveglia anche lei. E allora usciamo e ripercorriamo le stesse stradine lastricate con il sole e in giro non c'è nessuno ... eccetto gatti ciccioni e morbidosi. Ogni angolo è nostro e scopriamo nuovi dettagli che ci erano sfuggiti al chiarore della luce serale.




In mattinata visitiamo anche il Museo di Stromness, ci siamo di nuovo solo noi e la curatrice.
Storie di mare e marinai, naufragi, collane fatte di denti, oggetti che hanno attraversato i sette mari, ossa di orca e di balena, dentiera di squalo, resoconti di viaggio.
Un mondo altro, in cui forse non sarei stata vegana e mi sarei innamorata di un lupo di mare.

E se avessi studianto Biologia Marina ci sarei venuta a fare il dottorato.


Voi ci vivreste in un posto così piccolo? Io un pensierino ce lo farei.
Questo poeta qua invece non mi sembra molto d'accordo.

1.9.16

La battaglia di Culloden

Guardando serie televisive alle volte si impara. Vi è mai successo?

Sono un paio di anni che seguo Outlander, di cui vi ho già parlato qui e proprio grazie a questa serie durante il mio viaggio in Scozia ho infine visitato Culloden, luogo della terribile disfatta dei Giacobiti scozzesi, di cui avevo letto e sentito parlare, ma che non mi ero mai presa la briga di cercare.

In un episodio di Outlander invece, Claire, la protagonista, si reca in una sorta di catartico pellegrinaggio al campo di battaglia e guardando per caso googlemaps, ho scoperto che era vicinissimo ad Inverness, tappa 2 del nostro viaggio.

Il 16 aprile 1746 nelle Highlands scozzesi i sostenitori del cattolico Bonnie Prince Charlie (Charles Edward Stuart) furono sconfitti e massacrati dalle forze del re Giorgio II, comandate da suo figlio soprannominato "Billy il Macellaio" per la sua efferratezza nei confronti dei Giacobiti.

Culloden ci aspettava come nel giorno della battaglia, con il cielo nero, l'aria pesante e il campo pieno di pozzanghere e rivoletti di acqua. Forse il miglior modo di vivere questa esperienza, incappucciate e tristi al pensiero dell'antica carneficina.



























Alla ricerca della tomba dei Fraser (il clan del protagonista della serie), comincia a piovere a dirotto e qualche lacrima si mescola alle gocce di pioggia. Mi ricorda le sensazioni provate a Ground Zero o al campo di concentramento di Salaspils, ci arrivi ed è come se il vuoto ti prendesse da dentro, un sobbalzo al cuore e il dolore invisibile di più di 1000 morti.

Bonnie Prince Charlie all'inizio mi pareva un eroe romantico, nato a Roma come me, esiliato e di ritorno a combattere per la sua Patria. Ora però ci ho ripensato, le sue azioni di stolto egocentrico portarono alla morte tanti suoi compatrioti e all'annichilamento quasi totale dei clan e delle loro tradizioni - con la proibizione dell'abbigliamento tradizionale fatto di tartan e kilt e la legge sul disarmo, per cui tutte le spade dovevano essere consegnate al governo britannico o lo stanziamento di guarnigioni governative in varie zone strategiche, con il fine di limitare la diffusione di notizie e isolare i clan. 


 Non sto qui a raccontarvi altre notizie di storia scozzese, di cui solo ultimamente ho cominciato ad interessarmi, ma ecco, se potessi tornare  indietro nel tempo pure io, come Claire di Outlander, un pensierino sul fare fuori il Bonnie Prince ce lo farei eccome.  









 Ho trovato anche questa canzone a commemorare i fantasmi di Culloden




Qui le info per visitare Culloden: http://www.nts.org.uk/Culloden/Home/
Raggiungibile con un autobus della compagnia Stagecoach, ma occhio che ce ne sono pochi, leggete bene gli orari di ritorno o finirete come noi per dover fare un po' di km a piedi in mezzo al niente per tornare a Inverness. Ci si può arrivare comunque anche in taxi.


Il Visitor Center è interessantissimo e ci sono anche delle rappresentazioni dal vivo, con utensili e armi usati a quell'epoca e con dimostrazioni di cosa fosse effettivamente un kilt/ il tartan all'inizio (una copertona di vari metri che serviva per vestirsi di giorno e appunto coprirsi di notte).

Impariamo anche che i veri maschi scozzesi quando si lanciavano in battaglia gridando, slacciavano la cintura e abbandonavano il loro tartan sul campo e correvano seminudi (solo con una lunga camicia) e spesso scalzi o solo coi calzini - venivano infatti chiamati Redshankes, gambe rosse, arrossate dal vento, dalla pioggia e dalla neve.




















Se a qualcuno venisse voglia di farsi un kilt, l'Italian tartan è questo qua.
E per chi non ha ancora visto Outlander, ecco, uno spuntino ... di riflessione.