20.8.15

Quando la letturatura e la vita si incontrano

Ci sono libri che ti rimangono impressi, perché la storia ti coinvolge, perché ti rispecchi nei personaggi, perché creano un'atmosfera che è difficile scrollarsi di dosso.
O semplicemente perché li leggi in un periodo o una giornata particolare, su un treno preso al volo, in quell'aeroporto durante una lunghissima attesa, mentre aspetti la metro e poi a casa, senza prendere fiato.
Io La Regenta l'ho letto tanti anni fa, in fila, poi di nuovo a casa, poi di nuovo in fila. Ero ancora in Italia, stavo preparando gli ultimi esami per finire l'università, spagnolo era uno di quelli e quindi questo non era un libro da sfogliare per piacere. Era un obbligo, come andare a votare quel giorno.
Quella era la fila, quella l'attesa. Gente rabbiosa contro un'Italia, che già quel bel po' di anni fa, andava allo scatafascio. La Regenta era con me in piedi fuori dal seggio, con una fila lunga così. Mi pareva che la gente fosse davvero arrabbiata, volesse davvero cambiare le cose, e quel fremito interiore faceva a cazzotti con il libro, lento, desolante, angosciante.
Matrimonio di convenienza, niente figli, tante frustrazioni, solitudine e noia per Ana, la protagonista.
In realtà poi la vera anima del romanzo è Vetusta, la città che fa da sfondo alla silenziosa disperazione della Regenta, con le sue dame ipocrite, l'aristocrazia decadente, il clero corrotto, le pressioni sociali ed ambientali che finiscono per avere la meglio.
Ciò che non ricordavo era che l'autore, Clarìn, dietro il nome Vetusta aveva voluto nascondere - ma neanche troppo - una città spagnola reale, Oviedo. Dove sono finita per caso, guarda la cartina, guarda i pullman e vedi cos'è raggiungibile da Leon, girata ormai in lungo e in largo. C'è Oviedo, nelle Asturie, e per arrivarci si va su per i monti, si passa per tutti i paesini e viene quasi il mal d'auto.
Ci arriviamo e ci sono le cornamuse che suonano e i gruppi folclorici che ballano, e fra quello e il verde mi emoziono, perché mi sento un po' in Scozia. Corri corri, dico, abbiamo tempo solo fino alle 6 di sera, ci sarà tantissimo da vedere.


Poi andiamo all'ufficio del turismo e la signora che ci lavora si sente forse troppo Regenta, frustrata e annoiata, qua non c'è molto da vedere, alcune statue, state qui tutto il giorno? ci manca che faccia un sospirone e ci dica che gli facciamo pena. Ci manda a vedere la statua di Mafalda, che poveraccia non so cosa ci azzecchi con questa città, poi partiamo in esplorazione per il centro.



Giriamo e giriamo ed effettivamente ci sono tante statue, pure belle, ma forse tutte un po' angosciate.
Scusatemi cittadini di Oviedo ed amanti di questa città, io non avevo neppure pregiudizi perché finché la Regenta non l'ho incontrata, davanti alla Cattedrale, mica me lo ricordavo che il libro era ambientato qua.

















Forse ero io che avevo la luna storta, forse a quel punto tutti i ricordi e la pesantezza del romanzo hanno pervaso la mia anima, che ne so.
So solo che, se uno non beve il sidro, che si può allegramente tracannare a qualsiasi ora del giorno,  Oviedo è proprio il posto giusto per vivere quell'atmosfera di disperazione e lenta agonia che avevo respirato per 1300 pagine. Mi è capitato raramente di voler fuggire da un posto, addirittura Coventry disprezzata da tutti mi è piaciuta.














Ecco, allora mi chiedo, vi è mai successo?
Andare in una città e viverla come fosse un romanzo che ne parla?

11.8.15

Genio e demenza


Viaggiamo senza macchina e allora siamo sempre i primi ovunque, costretti a levatacce per acchiappare al volo il primo pullman della mattinata e conquistare km e km di Castilla e León.

Dal finestrino guardo i pellegrini coi loro zainoni e bastoni, di qui si passa per arrivare a Santiago de Compostela e mi sorprendo a vedere tutte queste tenaci lumachine, col peso della loro casa di viaggio sulle spalle. Sono inni al minimalismo, al silenzio, alla praticità. Mi chiedo quale sia la loro vita lontano dal Camino, non riesco a immaginarmeli davanti a un computer o sfatti in discoteca.



Noi pure maciniamo km a piedi, ma per visitare Astorga, ci diamo 3 ore e sono poche, chi se lo immaginava che il Palazzo Episcopale ci avrebbe intrappolati?


C'era da aspettarselo in realtà, si tratta di Gaudì, un cervello privilegiato. 
Entri nel palazzo ed è una lezione di umiltà, pensi a quanto sei bravo in questo e quello, a tratti geniale, poi giri per le sale e il cervello fa la riverenza, mentre gli occhi vagano come palline di flipper, impazzite su e giù. Quella finestra, quella vetrata, quel capitello, quell'arco. Tanta luce.

Sarebbe bello che un edificio così fosse una biblioteca silenziosa e profumata di libri.
Io ci verrei a studiare d'inverno, con la neve, e sarebbero proibiti cellulari e computer.

Per ora è un monumento che pochi visitano e chissà, forse è meglio così, passeggiare per le sale e godersele, vuote. Ecco, però se voi passate per Astorga non ve lo perdete.




Nel biglietto doppio è inclusa pure la visita alla Cattedrale e museo.
E si passa dalla meraviglia incantata alle risate guarda là, guarda qua - tutta colpa della pagina Se i quadri potessero parlare - quando ci ritroviamo di fronte a opere così. Non vogliatemene amanti dell'arte, questa visita culturale ha preso una piega comica.


Bambinello- Sansone con parruccha lunga, effetto Samara del film 'The Ring', protettore dei pelati, mio buon Gesù, pensaci tu e addio minoxidil.


1) Mi hanno messo qualche droga nel bicchiere ...
2) Volaaaa, mio mini pecoro, volaaaa mio minipecoro dai ...
3) Esci coi tuoi amici stasera? Ti aspetto sveglia!


Specialità della casa: tette e occhi su un vassoio d'argento
(E scoprire che in Sicilia c'è un dolce tetta a ricordare il martirio di Sant'Agata. Quella degli occhi chi era invece? Santa Lucia? Ci sono dolci a forma di occhio in qualche parte d'Italia/ del mondo?


1) testa di cazspero 100%
2) te l'ho detto Tommà, il tuo telefonino nun ce l'ho io, cerca cerca, smucina, intanto mica lo trovi ...


1) lo schiaffo del soldato!
2) marionette volanti
3) ma insomma, 'sti capelli mi stanno meglio lisci o riccetti?

E con questa carrellata di demenze vi lascio e continuo il mio viaggio.
Alla prossima tappa.

4.8.15

I colori di Madrid

L'hotel di Madrid l'ho scelto io a casaccio, dopo tanto couchsurfing mi pare pure strano non sapere chi sarà che mi ospita.

Non so neppure in che quartiere è, a Madrid ci sono stata 4 volte, ma non ci conosciamo bene, finora questa capitale non mi ha convinta.

1) 1998: di passaggio verso il nord, dove andavo come volontaria, sosta di cui ricordo solo la stazione e un caldo infernale nelle Dr Martens perenni.
2) 1999, reduce da 4 mesi di erasmus, i madrileni parlano troppo lenti rispetto ai murciani e abituata alle temperature del sud a dicembre io gelo.
3) 2008, gay pride. Ma mica lo sapevamo. Ci arrivo per fare delle robe burocratiche, ci ritroviamo a Chueca imbandierata d'amore.
4) 2009, altra burocrazia, questa volta con mamma e papà. 15 volte a fare il giro col bus turistico rosso e cena al Museo del Jamón (ristorante coi prosciutti appesi) a rischio di svenimento.

Poi questa volta Lavapiés. Che ho già sentito parlare di questo quartiere in TV - quando ancora ce l'avevo - , ma che dicevano, boh?

Comincio a ricordare quando il proprietario marocchino della minipensione che ci accoglie ci segna sulla cartina questo e quello.
Lavapiés, il quartiere melting-pot per eccellenza.

Ma non il finto-hippy-chic che odio.
No, questa è multiculturalità alle stelle, i negozietti cinesi, la strada dei ristoranti indiani coi camerieri all'assalto, le mille frutterie pakistane, i tatuatoni, il ristorante vegano anarchico-queer, i cani, la gente che beve birra appoggiata ai secchi, tanti giardinetti con TANTI bambini, quelli che mi offrono hashish perché porto i miei pantaloni giullareschi e il marsupio e il miglior modo di pettinarsi è col vento.
Per strada di notte c'è rumore e io, figlia dei mercati generali di Roma Ostiense, mi addormento cullata dagli strilli degli ubriachi.

Lavapiés è il Rastro, cugino di porta portese romana, è giovincelli che alle 10 di mattina di domenica si stanno facendo la prima birra, perché ancora non sono andati a letto dalla sera prima.
È bar coi tavoli all'aperto stracolmi, disordine un po' zozzone, stradine piccole in salita verso il centro, che è vicino ma come se fosse un altro mondo. 

Un mondo che non mi piace, perché è pieno di turisti,  e ZaraH&MStarbucks e io rifuggo l'omologazione e le catene, me ne torno a Lavapiés, che pure che non bevo, non fumo e non dico parolacce quello che cerco è calore ... e colore.