Ritorniamo come ogni anno nel deserto.
Landa desolata, artificiale, ora abbandonata dall'uomo.
Il deserto si adatta all'umore, che quest'anno è pigro e sonnolento.
Siamo vittime dell'estate, che ci schiaffeggia giornalmente coi suoi 45º.
Profughe in un'oasi abbandonata, entriamo e usciamo dall'acqua, cacciamo (via) rane, frastornate dalle cicale che non smettono di sventolarsi con le ali, che pure per loro quest'anno a Murcia è troppo caldo.
Getting lost
Death Valley
Eppure i laghi, creati per affondare palline da golf, ora sono pieni di papere e di cigueñuelas, cicognette, anche se il loro nome in italiano è cavalieri d'Italia e fa un po' ridere, che sono? Amiche di Berlusca fuggiasche?
Eppure dall'asfalto spuntano fiori e piante, ogni anno più anarchiche, ogni anno più libere.
Di giardinieri non ce ne sono più, nessuno si cura che i marciapiedi si crepino, che i serpenti entrino nelle case dei pochi che rimangono a vivere da queste parti.
I gatti vanno a caccia, così come le volpi, perché il canyon è diventato territorio comanche.
Non mi ricordo da che anno è che torno nel deserto, all'inizio era ancora un campo da golf, ora mi fa pensare a Leopardi, al Dialogo della Natura e di un Islandese, che mi è rimasto in mente per ventanni e ora la memoria me lo ripropone e lo cerco per rileggermelo.
Natura. Tu mostri non
aver posto mente che la vita di quest'universo è un perpetuo circuito
di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera, che
ciascheduna serve continuamente all'altra, ed alla conservazione del
mondo; il quale sempre che cessasse o l'una o l'altra di loro, verrebbe
parimente in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse
in lui cosa alcuna libera da patimento.
Islandese. Cotesto medesimo odo ragionare a tutti i filosofi. Ma poiché quel che è distrutto, patisce; e quel che distrugge, non gode, e a poco andare è distrutto medesimamente; dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire: a chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell'universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono? Mentre stavano in questi e simili ragionamenti è fama che sopraggiungessero due leoni, così rifiniti e maceri dall'inedia, che appena ebbero forza di mangiarsi quell'Islandese; come fecero; e presone un poco di ristoro, si tennero in vita per quel giorno. Ma sono alcuni che negano questo caso, e narrano che un fierissimo vento, levatosi mentre che l'Islandese parlava, lo stese a terra, e sopra gli edificò un superbissimo mausoleo di sabbia: sotto il quale colui diseccato perfettamente, e divenuto una bella mummia, fu poi ritrovato da certi viaggiatori, e collocato nel museo di non so quale città di Europa.
Io non sono pessimista come il nostro
Gobbo nazionale, il ciclo della vita mi piace, soprattutto quando la
natura vince e si riprende ciò che è suo.
Di leoni poi da queste parti non ce ne sono, al massimo conigli, che zompettano qua e là fra i cactus e ci guardano, forestiere in terra di nessuno.
Il deserto è ritorno alle origini, piedi scalzi, capelli arbusto, amiche ritrovate, necessità primordiali, dormire, mangiare, starsene in silenzio, al sole o in acqua.
Il deserto è cervello che sogna pioggia altrove e che in sovraccarico fa puff e si spegne.
Batteria scarica.
(Per fortuna che è solare)