Aika, questa lettera d'amore è per te.
Che il fidanzato non ce lo hai avuto mai, e allora te la scrivo io, perché ti meriteresti una, cento, mille, un milione di lettere d'amore, e ci potrei scrivere un'enciclopedia aikosa su di te e non finirei mai.
Aika.
Il 3 giugno 1997 io studiavo per un esame di giurisprudenza al tavolo del salone, a Roma.
Portavo una maglietta seria, la mia maglietta fortunata. Era una sorta di rituale, giurisprudenza mi faceva schifo e io mi aggrappavo alla maglietta portafortuna, da mettere durante l'ultimo ripasso e poi all'esame.
La mia, la nostra fortuna, invece sei stata tu e ci hai cambiato la vita in tanti modi quante sono le mie lacrime, infinite, a ruota libera da qualche ora fa, quando appena atterrata in Spagna di nuovo, dopo essere stata da te, mi ha chiamato papi e mi ha detto che non c'eri più.
E invece mi sembra che tu ci sei sempre stata, anche se in realtà ci hai scelto quel 3 giugno e di anni con noi sono stati solo 17.
Ma in finlandese Aika significa tempo, e allora Aika tu ci sei, ci sei stata e ci sarai per tutto il tempo della mia vita.
Aika, aikosa, aikina, topona, pinona, pipistrellosa, puzzoletta, canona, faccio una pausa perché non ci vedo più.
Quel 3 giugno quando siamo venuti in canile, e a me i cani piacevano, sì, ma preferivo i gatti.
Giravamo per le gabbie e guardavamo i cuccioli piccoli.
Poi ce n'era uno marrone, pareva dovesse essere lui ad accompagnarci a casa.
E invece dalla gabbia come un razzo sei venuta fuori tu, ci hai visti e ci hai scelti, Pallina.
Perché così ti avevano chiamata in canile, forse perché rimbalzavi da tutte le parti, con quella tua corsa tutta sbieca a mo' macchinetta da scontro.
E mio padre non era neanche tanto convinto, eravamo venuti solo a vedere i cani.
E invece, Aika, tu lo sapevi già che avevi trovato la tua casa nel nostro cuore.
Mi ricordo ancora la telefonata di papi a mamma: torniamo a casa, con un cane.
Mi ricordo gli occhi di mia sorella, che brillavano a 1000
E posso immaginare la faccia di mia mamma a casa: oddio, un cane, e mo' dove lo mettiamo.
Lo mettiamo nei nostri cuori, nei nostri cervelli, sotto i letti, in cucina a sniffare l'aria, in ogni angolo.
Aika, tu sei diventata la capafamiglia e noi facevamo finta di no, ma da quel tre giugno hai ci hai guidati tu.
Io poi giurisprudenza l'ho lasciata. Perché Aika, quel 3 giugno puzzavi talmente tanto, e sbavavi e leccavi e ti appiccicavi, che la mia maglietta fortunata è stato l'ultimo giorno che l'ho portata, l'esame l'ho rimandato e poi ne ho rimandato un altro. Perché io non ce la facevo a lasciarti sola a casa. Perché tu ti mettevi sotto il tavolo del salone dove io studiavo giurisprudenza e non mi lasciavi, e mi mozzicavi i calzini, e mi portavi un giocattolo, e zompettavi sbilenca, perché la grazia femminile neppure tu ce l'hai mai avuta, ma sei stata una gran signorina e poi signora.
Aika, mi hai salvato la vita, e me l'hai cambiata.
Se non fossi arrivata tu io avrei continuato a studiare quella roba che non mi andava giù, e non avrei cambiato facoltà, non sarei partita, non sarei dove sono, né chi sono.
Chi non è stato scelto da un cane penserà, e che sarà mai, un cane, un animale, tutti quei peli, scendere a farti fare la pipì, stare ore e ore ad accarezzarti perché eri tu a decidere quando volevi e quando invece ti scocciava, darti un biscottino di nascosto, portare sempre un regalo per te in valigia.
Ieri sull'aereo di ritorno, quando non sapevo ancora che anche tu stavi volando via, leggevo un libro in cui la protagonista aveva perso la felicità, e in un'inserzione sul giornale chiedeva alla gente di raccontarle cos'era la felicità duratura e vera.
E io pensavo a te, Aika, che anche se ora fisicamente non ci sei più, ci sono i ricordi, a mille, nel mio cervello, e mi scorrono tutti dietro gli occhi, dentro le pupille, come un filmino che va a ruota libera, fatto di centinaia di fotogrammi, che io non posso e non voglio fermare.
Aikina secca secca appena arrivata, e una cacca piantata subito in camera nostra, tò, eccomi qua, non me ne vado, questa cacca è il mio regalo per voi.
Aikina che morde un tappeto bello, tò, beccati questa, perché gli oggetti non contano, quello che conta è l'amore.
Aikina che mastica una ciabatta, che ingurgita l'occhio di un peluche.
Perché, tò, ora la pelusciona di casa sono io, e ora non distruggo più niente, ma avete capito l'antifona.
Aikona è stato il mio amore a distanza.
L'unico amore a distanza vero, ricambiato, felice.
Aikona quando io tornavo faceva l'elicottero con la coda e sembrava stesse per prendere il volo.
E quando era giovane mi aspettava sul balcone, lo sapeva che tornavo, ma come faceva?
Aikona quando me ne andavo corrucciava la fronte e non mi guardava, si arrabbiava, ecco, te ne vai un'altra volta, ma sappi che i mal di testa che ho io te li beccherai anche tu, e i miei primi peli bianchi corrisponderanno a capelli bianchi tuoi.
E quando una settimana intera non potrai dormire, piena di dolori alla schiena allo stomaco alla testa, e ti chiederai perché perché perché, sappi, cara Cecilia, che mamma ti chiamerà e ti dirà che sto tanto tanto tanto male, e tutti quei dolori sono i miei.
Aika, io ero qua in Spagna e come altre falsi allarmi sono corsa, perché il tempo e il karma sono stati buoni con me, o forse tu lo sei stata, e mi hai permesso di arrivare, hai aspettato che finissi gli esami, che buttassi 3 cose in valigia, che prendessi il pullman con le lacrime accumulate e gli occhi a fare diga, che prendessi quell'aereo e che pregassi, offrendo un anno della mia vita a cambio di un altro giorno con te.
Aika, sei stata passeggiate che mi davano tempo di pensare e rallentare.
Aika, sei stata la scusa per rimanere a casa tante volte, e passare tempo in famiglia.
Aika, sei stata il gioco del topo, su, dammi la sinistra, dammi la destra, aspetta, aspetta, salta. Mi piacerebbe avere un video di quel gioco, di come mi accontentavi, perché in fondo ero io che giocavo, e tu che mi facevi giocare.
Aika, mille volte più intelligente di noi, che capivi la nostra personalità, ognuno così diverso nella nostra famiglia, e sapevi a chi chiedere cosa, a chi regalare cosa.
Aika, miao miao, acchiappa il gatto immaginario, e poi non mi hai creduto più.
Aika, ti faccio salire sul mio letto, ma non lo dire al Generale che poi ci fa fuori a tutte e due.
Aika, che lo sapevi quella volta che io avevo un segreto grosso come il mondo e mi stavi intorno, e non mi lasciavi mai, perché dovevi proteggermi.
Aika, che mi hai fatto diventare vegetariana, perché quando sei arrivata tu ho fatto 2+2 e ho capito che gli animali vivono sentimenti, emozioni, dolori, proprio come noi.
Aika, quando hai cominciato a diventare vecchietta io non ci credevo, perché chi è stato scelto da un cane lo sa che ti regalano l'eternità, e sono sempre cuccioli, anche quando non ce la fanno più ad alzare la testa.
Ma lo fanno, per dirti ciao, per l'ultima volta, lo hai fatto tu due giorni fa, e lo sapevamo che era l'ultimo ciao.
L'ultima leccata, l'ultima carezza, l'ultima volta a stare distese per terra insieme.
Perché tu Aika non mi hai reso migliore persona, ma miglior cane.
Io non ti ho umanizzato, mi hai canizzato tu.
Ciao Aikina, Aikona, pinona, pippi, vola sulla luna di formaggio con quelle tue orecchie da pipistrellona.
E guardami da lassù, e continua a guidarmi e a rendermi un cane migliore.